Évoque le suicide de Robert Boulin
Chi ha ucciso Robert Boulin?, ci si chiedeva fino a qualche giorno fa davanti a un suicidio apparentemente inspiegabile.
Ma oggi la domanda posta dalla scomparsa del ministro del Lavoro francese è già diventata: chi, Robert Boulin puô uccidere? Il meccanismo che egli ha messo in moto accusando, nel suo messaggio postumo, gli « amici politici » — e in particolare il ministro della Giustizia — di averlo spinto in fondo a uno stagno, è ormai incontrollabile.
Inutilmente hanno cercato, primo fra tutti il capo dello Stato, di bloccarlo buttando tra gli ingranaggi, da stritolare, la stampa. Ma che piaccia o no, chi denuncia uno scandalo non ne è l'autore. E' solo lo specchio in cui ora si stanno guardando alcuni uomini spaventati.
Da qui, comunque, a poter annunciare la fine della Quinta Repubblica, ce ne corre. Questa Quinta Repubblica ha già gagliardamente dato prova della sua particolare capacità di asciugarsi via gli scandali dalla faccia cosi come ci si ripulisce dagli sputi: insozzata si, ma sempre in piedi. Senza dubbio i francesi debbono tenerci visto che la conservano cosi com'è; visto che, qualunque cosa faccia o non faccia, finora le hanno sempre perdonato tutto; visto, infine, che nessuno oserebbe proporre loro di rinunciare all'istituto che ne costituisce la chiave di volta: l'elezione del capo dello Stato a suffragio universale.
Di questa riluttanza dei francesi verso i cambiamenti, cosi in contraddizione con i loro discorsi, l'attuale primo ministro ha dato la seguente spiegazione, in privato, ai deputati che lo supplicavano di modificare la sua politica economica: «I francesi hanno tre caratteristiche. Sono ipocriti: usano un linguaggio diverse a seconda che si tratti di parlare o di votare. Adorano i privilegi: il che impedisce ogni vero cambiamento. Hanno paura: ed ecco perché noi siamo a questo posto».
In effetti, il brillio di una parure di diamanti troppo buoni affari immobiliari di membri del governo, tutto quello, insomma, che ora sta in primo piano sulla scena politica, a voler usare le parole esatte, non scandalizza. Infastidisce. Come i cattivi odori.
E tuttavia, se ci fosse un'opposizione articolata e coerente, avrebbe l'opportunità di sfruttare un certo desiderio diffuse di aprire le finestre e cambiar l'aria. Ma finché la strategia del partito comunista francese tenderà a far di tutto perché la destra conservi il potere, una simile opposizione continuera a non esistere. E' solo un fantasma, agitato da chi tenta di accreditare la versione secondo cui le rivelazioni di cui la stampa si è resa colpevole sarebbero il puro e semplice prodotto di una congiura, messa su dalla sinistra con la complicità dei giornali scandalistici ripresi, poi, da Le Monde.
La realtà è ben diversa. La battaglia, al cui centro si trova Giscard d'Estaing, non si svolge su! terreno classico, quello in cui si affrontano normalmente, in democrazia, le forze della conservazione e le forze che chiedono cambiamenti. E' una lotta interna alla destra che da più di vent'anni dirige il paese. Lotta di eredi, lotta di pretendenti, lotta di ambizioni e di odi che se d'improvviso ha acquisito una qualche grandezza è solo perché, imprevedibilmente, c'è scappato il morto.
Ma il suicidio di Robert Boulin non ha fatto che rivelare una situazione antica. Già undici anni fa «qualcuno» tenté di disonorare Georges Pompidou, attraverso sua moglie, per impedirgli di mettersi in corsa per la successione del generale de Gaulle. Operazione particolarmente ignobile che per poco non riusci e in cui la stampa, sia detto en passant, non gioco alcun ruolo.
Di questo «qualcuno» il diretto interessato, divenuto capo dello Stato, non rivelo mai il nome una volta che l'ebbe scoperto. Segreto di famiglia, la grande famiglia della destra al potere. Questa volta «qualcuno» ha liquidato Robert Boulin per mezzo di un oscuro affare di terreni in cui sembra che eglisia stato più ingenuo che colpevole. Era una pedina minore della scacchiera su cui si gioca questo gioco infernale. Ma poteva proteggere Giscard d'Estaing sul fianco gollista assicurando la successione, che sarà molto delicata, dell'attuale primo ministro.
La «liquidazione» è finita male. Lo si voleva silurato e lo si è ritrovato annegato. Davanti al cadavere di quest'uomo discreto, che non fece mai tanto parlare di sé come ora e che di colpo, dall'oltretomba, ha scombussolato la scacchiera, a più d'uno dei giocatori deve essere venuta in mente la celebre frase dell'assassino del duca di Guisa: «E' più grande — grido — da morto che da vivo».
Forse la frase servirà un giorno da orazione funebre per la Quinta Repubblica. Per il momento le condizioni dell'amalata sono gravi, ma non disperate.
Mardi, octobre 29, 2013
Corriere della Sera
politique française